Radon
Il problema della radioattività dei materiali lapidei esiste ed è innegabile ma, volendo essere onesti, la radioattività è parte imprescindibile di quasi qualsiasi cosa sia presente in natura ed il radon ne ha assunto il ruolo di soggetto principe per quanto riguarda il settore lapideo.
Periodicamente assistiamo al riproporsi di questa tematica, ma il problema sostanziale è che spesso vi si intravvede chiaramente un intento persecutorio, attuato spesso in malafede che purtroppo è riuscito a demonizzare oltremisura il problema.
Tentiamo quindi di approfondire l’argomento e di capire meglio le problematiche legate al radon.
La notizia della sua pericolosità ha avuto forte risalto a partire dal 2002, quando negli Stati Uniti d’America le società che eseguivano le misurazioni di radon e le azioni di rimedio hanno dovuto iniziare ad autosostenersi con le quote che sarebbero state applicate ai fruitori dei servizi (fino al 2002 il Congresso degli USA aveva dato in gestione “l’affare” a EPA e ad alcune Università, che si finanziavano con i fondi pubblici).
Quale magnifica opportunità, quindi, cavalcare l’onda di chi, sollevando parzialmente il problema del radon, pone sulla piazza migliaia di top da cucina da andare a testare!
Al tempo perfino sul New York Times un articolo aveva dato ampio rilievo alla necessità di acquistare un Kit per la determinazione del contenuto di radon (vedi nella foto) o, molto meglio, su chi contattare per far effettuare tali misurazioni (in realtà la determinazione non è così semplice come è stato fatto credere, secondo quanto pubblicato dalla NRPB – National Radiological Protection Board – ora branch della Health Protection Agency– nelle Environmental Radon Newsletter).
Detto questo possiamo fare una breve sintesi del problema radon giusto per capire quale è lo stato di fatto:
il radon (in passato rado o niton) è un elemento chimico (simbolo Rn, numero atomico 86 nella tavola periodica degli elementi) che si presenta come gas raro incolore e inodore e si forma durante il decadimento radioattivo dell’uranio-238 (238U) e del radio-226, presenti in natura (essendo ubiquitari anche i loro prodotti di decadimento lo sono). Il radon-222 decade, cioè si trasforma, con un tempo di dimezzamento di 3,82 giorni ed i suoi prodotti di decadimento sono in realtà il vero problema: una volta che essi vengono inspirati si fissano ai polmoni ed emettono radiazioni che possono provocare il cancro.
Ora, poiché gli isotopi radioattivi hanno precise dimensioni atomiche, forze di legame e quant’altro, essi si trovano prevalentemente all’interno di alcuni minerali (non di tutti) che per questo sono definiti radioattivi. Essi sono: apatite zircone, xenotimo, monazite, titanite uranite, urano-torite, torite, zirchelite e alcuni opachi radioattivi. Sono generalmente nelle rocce pegmatitiche ed in alcuni graniti, ma come pure nei loro prodotti di alterazione e quindi nelle sabbie, (ma nessuno, o perlomeno io no, ha mai sentito parlare di spiagge radioattive), nelle arenarie…
Il radon quindi viene emesso come gas dalle rocce che formano la terra e, come gas non più trattenuto, sfugge verso le superfici passando tra fratture, faglie e cavità.
Una volta in superficie, in coincidenza di una abitazione, per il gradiente di pressione e di temperatura tra interno ed esterno (“effetto camino”, “effetto vento”), viene risucchiato nella casa dove si concentra, facendogli meritare la definizione di inquinante indoor. Fondamentale quindi, come viene già fatto nel Regno Unito e come si sta facendo in Italia ed in altri paesi, mappare sul suolo le aree per valutare quelle ad alta emissione di radon e per vedere il reale valore all’interno degli edifici. Teniamo conto che, nonostante una media mondiale di radon indoor di 40 Bq/m3, una Raccomandazione Europea (Raccomandazione 90/143/Euratom) ha fissato i livelli di riferimento, al di sopra dei quali è necessario attuare misure di rimedio, in 400 Bq/m3 per gli edifici vecchi e 200 Bq/m3 per quelli nuovi.
Per quanto riguarda i materiali da costruzione, nel Piano Nazionale Radon del Ministero della Sanità è scritto: “il ruolo dei materiali da costruzione come sorgente di radon indoor è generalmente poco importante rispetto a quello del suolo. Nell’ultimo rapporto UNSCEAR (UNSCEAR 2000) il contributo dei materiali da costruzione […] viene stimato intorno al 15/20% corrispondenti a circa 10/15 Bq/m3 contro quello relativo al suolo, stimato tra il 40 e il 70 %. […] Esistono però delle situazioni che si discostano significativamente da questi valori […] Il calcestruzzo, certi graniti ed in particolare il tufo dell’Italia centro- meridionale. […] ma anche materiali composti con prodotti di risulta di lavorazioni industriali come il gesso, sottoprodotto dell’industria dei fosfati e le ceneri di carbone, sottoprodotto delle centrali elettriche a combustibile solido”.
Nella logica dell’attuazione di azioni di rimedio che riducano la concentrazione di radon indoor, i materiali da costruzione sono sorgenti più facilmente controllabili di quanto possa essere il suolo. Infatti, in via preventiva, si può misurare il contenuto di radioattività e, in casi particolarmente rilevanti, bandirne l’uso, come è stato fatto in Svezia per un calcestruzzo con scisto di allume con alta concentrazione di Ra-226.
Però il binomio “alta concentrazione di radon – elevato rateo di dose gamma” non è sempre verificato. […] Infatti, la capacità del gas di uscire dalle pareti, suolo o pavimento dipende anche dalle proprietà di trasporto del mezzo, cioè dalla porosità del materiale, dalla densità e dallo spessore. […] Non è possibile risolvere il problema eliminando del tutto la presenza di radon negli edifici, a differenza di quanto avviene per altri inquinanti, infatti il radon viene continuamente prodotto dal suolo e dai materiali da costruzione. […]”.
Per quanto riguarda l’Appendice 2: Rassegna degli interventi per ridurre o prevenire livelli elevati di concentrazione di radon, tralasciando quelli indicati per la bonifica edilizia, ma fissandoci solo sui prodotti da costruzione, a pagina 103 del Piano Nazionale Radon è scritto: “Si può ottenere una riduzione della concentrazione di radon applicando dei ricoprenti sintetici. L’uso di materiali polivinilici o resine epossidiche, ad esempio, può consentire una riduzione della emissione di un ordine di grandezza […]”, mentre secondo altre fonti bibliografiche (Fiora, Magnoni, Riveccio), “[…] il tasso di esalazione del gas radon si riduce drasticamente nel caso di superficie lapidea trattata con vernice epossidica con una attenuazione pari a circa il 97%.[…]” (neanche di questo si sente parlare allorché si approccia il problema dei graniti radioattivi).
Alla luce di questi pochi cenni, personalmente trovo facinoroso parlare del radon emesso dai graniti nei termini in cui viene proposto (sarebbe come parlare dell’ultimo modello di un’auto parlando del bullone n. 345 presente nella sua scocca), subdolamente sottaciuto in modo da poterci speculare sopra e poter tenere una categoria in angoscia.
Il problema quindi NON è solo “dei graniti”, bensì degli edifici che accumulano inquinamento indoor proveniente dal sottosuolo, dei materiali da costruzione (TUTTI) di cui un top da cucina e bagno sono una esigua parte. Ma radon c’è anche nel gas da cucina (secondo i calcoli fatti in UK esso può essere anche il 5% del livello di radon indoor (qualcuno ne aveva mai sentito parlare?) E l’acqua? L’EC Recommendation on drinking water (2001/928/Euratom) stabilisce per le acque potabili (quelle dei sindaci, per intenderci) dei livelli di riferimento. Per il radon: 100 Bq/l, per il Po-210: 0.1 Bq/l; per il Pb-210: 0.2 Bq/l.
Per valori al di sopra di 1000 Bq/l di radon è sempre giustificata una azione di rimedio.
Per i motivi su citati ritengo non corretto un approccio così settario al problema radon che rischia di ricadere in maniera pesante sulle spalle di chi lavora e vende materiali lapidei, quando in realtà tale peso appartiene a molte più categorie e andrebbe quindi gestito in maniera molto meno accusatoria.
Se poi esistono degli aspetti commerciali che possono comunque dare visibilità e garantire un ritorno di immagine, questo esula dalle problematiche esposte. Ed è tutto un altro problema.
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Bibliografia
- AAVV (1995-2008) – Environmental Radon Newsletter – trimestrale della Radiation Protection Division della HPA (Healt Protection Agency);
- AAVV WHO|Radon http://www.who.int/ionizing_radiation/env/radon/;
- European Commission – 1990 –Raccomandazione 90/143/Euratom (Raccomandazioni della Commissione sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon in ambienti chiusi);
- European Commission (1999) – Radiation Protection 112 Radiological Protection Principles concerning the Natural Radioactivity of Building Materials- Directorate-General Environment, Nuclear Safety and Civil Protection;
- Fiora, Magnoni, Riveccio (2000) – Radioattività naturale di pietre ornamentali del mercato internazionale – sta in: Atti del convegno tenutosi a Torino il 28-29 novembre 2000;
- Ministero della Salute (2002) Piano Nazionale Radon;
- The New York Times- July 24, 2008 – What’s Lurking in your Countertop;
- WHO Regional Office for Europe (1996) – Indoor Air Quality: a risk – based approach to health criteria for Radon Indoors – Report on a WHO Working Group, Eilat Usrael 28 march – 4 April 1993.
geol. Anna Maria Ferrari
Complimenti alla d.ssa A. Ferrari per l’articolo sul Radon. Finalmente una spiegazione semplice e chiara sulle origini e le problematiche relative a questo gas. Ottimo il rimando bibliografico per chi desidera approfondire l’argomento.